La biblioteca dell’Istituto

La Biblioteca dell’Istituto Italiano Studi Germanici
1 Marzo 2013
Organizzazione
1 Marzo 2013

Immersa nel verde dei giardini di Villa Sciarra, la biblioteca dell’Istituto Italiano di Studi Germanici è sotto molti aspetti il cuore pulsante del presti­gioso ente di ricerca: unica nel suo genere, è la maggiore raccolta di germanistica e scandinavistica sul territorio italiano e per le sue caratteristiche rappresenta un patri­monio difficilmente ripetibile.

Nata nel 1932, contemporaneamente all’Istituto, e da allora in continuo aggiornamento, la biblioteca ospita sui suoi scaffali circa 70.000 volumi, fra i quali quasi 400 rivi­ste – alcune in serie ininterrotta dalla fine dell’Ottocento – e numerose pubblicazioni antiche: singole cinquecenti­ne, molte edizioni seicentesche e un numero impressio­nante di edizioni del Sette e Ottocento, soprattutto di let­teratura tedesca, che ne fanno un centro fondamentale per gli studi di germanistica in Italia. Ma le sezioni di let­teratura, filosofia e storia tedesca, che pure rappresenta-no il nucleo più ricco – e più frequentato – della raccolta, con opere di grande pregio a fianco delle ultime novità della critica contemporanea e degli scrittori del nuovo millennio, trovano un ricco complemento nelle sezioni di letteratura nederlandese, danese, svedese, norvegese e islandese, che con la loro esistenza giustificano la deno­minazione dell’Istituto: studi germanici dunque, nel senso più vasto del termine, poiché fra le mura della biblio­teca e dell’Istituto è da sempre coltivato l’interesse per tutte le culture germaniche.

 

L’interrogativo che accompagna lo stupore del lettore che per la prima volta varchi la porta della biblioteca e ini­zi a consultarne gli schedari è come sia possibile trovare un fondo così antico in una biblioteca di fondazione rela­tivamente recente: l’eredità storica del patrimonio, carat­teristica principale della raccolta, deriva dalla cospicua donazione – contemporanea all’apertura della biblioteca – del fondo appartenuto allo studioso tedesco Max Koch, scomparso nel dicembre del 1931, quando l’Istituto era in fase di avanzata progettazione. Filologo, critico teatrale, professore di letteratura tede­sca all’università di Breslavia, Max Koch fu alfiere della comparatistica europea, si occupò di Dante e di Shake­speare e fu legato alla germanistica italiana soprattutto nella persona di Arturo Farinelli, che di Giuseppe Gabet­ti – germanista dell’università di Roma, primo motore e direttore dell’Istituto – era maestro e mentore. Forse fu proprio grazie all’intercessione di Farinelli, che con Koch era in contatto continuo fin dagli ultimi anni dell’Ottocento, che il nascente Istituto Italiano di Studi Germanici poté evitare il triste destino di trasformarsi in un guscio senza contenuto e poté ottenere in dono la biblioteca dello studioso tedesco.

Già nei discorsi inaugurali tenuti in occasione dell’apertura, nell’aprile del 1932, si parla di 20.000 volumi appartenenti alla biblioteca, a riprova che il fondo Koch era in gran parte già presente nei nuovi locali, e nelle minute delle lettere di Gabetti e negli originali di quelle da lui ricevute, ora custoditi negli archivi dell’Istituto, è pos­sibile seguire molti aspetti del destino della donazione e dell’intera biblioteca nei primi anni dopo la fondazione. In una lettera a E. Jacobs, direttore della Preussische Staatsbibliothek, scritta nel settembre del 1932 – meno di sei mesi dopo l’inaugurazione – Gabetti afferma per esempio che i volumi sono già 25.000 e che presto saranno 40.000. Se la stima sull’incremento del patrimonio nell’immediato futuro sia legata a un suo viaggio – nell’autunno di quell’anno – nella Breslavia di Koch, non è dato sapere finché non saranno stati studiati a fondo gli archivi di Farinelli e di Koch, sparsi in diverse biblioteche europee. Ma in quel momento la catalogazione del già ric­co fondo doveva essere in corso, anzi Gabetti afferma nella stessa lettera che era quasi terminata, sebbene l’in­formazione possa stupire chi di biblioteche si occupa quotidianamente: non più di due mesi prima, in una let­tera di luglio a Hugo Kruess, direttore generale della stes­sa Staatsbibliothek, Gabetti chiede informazioni sulle norme da utilizzare per la schedatura, e due mesi per cata­logare 25.000 volumi sono ancora oggi un tempo sor­prendentemente rapido.

Comunque sia, nei nuovi locali dell’Istituto Italiano di Studi Germanici fervevano i lavori per arricchire e rendere disponibile la grande biblioteca, ma evidentemente l’incertezza delle procedure e soprattutto l’esigenza di metterla rapidamente a disposizione degli studiosi che cominciavano a frequentare la villa indussero a sorvolare su alcuni aspetti che ancora oggi fanno parte della comune gestione dei fondi librari, come per esempio la puntua­le inventariazione del patrimonio. Se una storia dettaglia­ta della biblioteca potrebbe basarsi in gran parte su un esame approfondito degli archivi della corrispondenza, una fonte determinante di ulteriori informazioni sulla stratificazione delle accessioni potrebbero essere infatti i registri d’inventario, sebbene l’inventariazione vera e pro­pria della biblioteca sia evidentemente iniziata in un momento successivo alla catalogazione, talvolta molto lontano dall’effettivo ingresso dei libri: come documentano i registri, tutti conservati, l’inventario dei beni librari dell’Istituto iniziò solo il 1° maggio del 1934. Fin dall’ini­zio molti inserimenti erano riferiti, come è naturale, a quel fondo Koch che della biblioteca era il nucleo originario, ma fin dai primi anni risultano numerose accessioni deri­vanti da acquisti diretti, da esemplari in recensione – la rivista «Studi Germanici», organo dell’Istituto, iniziò a essere pubblicata nel 1935 –, poi doni – come quello di «Gabrieli», probabilmente l’allora giovane scandinavista Mario Gabrieli – e soprattutto, grazie all’incessante attivi­tà di pubbliche relazioni di Gabetti, donazioni consisten­ti dai Paesi Bassi, dalla Danimarca, dalla Svezia – docu­mentata anche da alcune lettere private di Gabetti al figlio Lorenzo – o dalla Norvegia, come testimonia una minuta del novembre 1932 al Presidente dell’Istituto Fascista di Cultura, in cui si parla di una donazione norvegese in arrivo, «già oltre il migliaio di volumi». Se il fondo Koch era ricco di opere inglesi, francesi, italiane, spagnole, gre­che e latine, in originale e in traduzione – che ancora oggi rappresentano la pregevole sezione di «letterature stranie­re» –, sul versante nordico e nederlandese la biblioteca dello studioso tedesco era certamente carente, e le numerose donazioni – probabilmente in gran parte sollecitate da Gabetti – andavano a colmare lacune nei settori istitu­zionali dell’ente. La registrazione negli inventari proseguì con molta discontinuità negli anni successivi, con una ripresa degli inserimenti nel 1942, poi con maggiore regolarità a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, quando ancora molti volumi risultano entrati in biblioteca come «donazione Koch».

Ma oltre al fondo originario, grazie ai numerosi viaggi e alle conferenze tenute un po’ ovunque in Europa da Gabetti, la biblioteca si arricchiva continuamente di nuo­ve acquisizioni, e soprattutto la tradizione di accogliere – e spesso di richiedere – donazioni si mantenne viva per molti anni: ancora nel 1942, il 1° maggio, il governo col­laborazionista norvegese di Quisling inviò una «modesta» donazione alla biblioteca «nell’ammirazione per la storia e le tradizioni culturali d’Italia», equivocando evidentemen­te la posizione dell’Istituto nei confronti della situazione politica in Italia e in Germania. La donazione è ufficializ­zata da un elenco a stampa dei volumi conservato nella sezione norvegese della biblioteca, verosimilmente nell’unica copia esistente.

Del resto la donazione di volumi, talvolta di interi fondi, è tuttora una modalità di accesso abbastanza comune per i libri della biblioteca, non già per una cosciente poli­tica delle acquisizioni, quanto piuttosto come atto spon­taneo e quasi naturale, nei confronti di una biblioteca spe­cialistica di questo genere, da parte di studiosi, frequentatori, e talvolta anche di estranei che ritengono di voler affidare alle cure di un’istituzione così prestigiosa quel piccolo fondo di volumi tedeschi o nordici a lungo custo­dito da un parente scomparso. In questo modo sono stati acquisiti negli anni numerosi, preziosi fondi, come quelli dei germanisti Enrico Rocca e Francesco Delbono, una parte della biblioteca della scomparsa scandinavista Ludovica Koch e importanti lasciti di volumi appartenu­ti a Gustav René Hocke e a Hanno Helbling. La bibliote­ca continua a riservare all’acquisto delle novità un capitolo di spesa non irrilevante, né potrebbe essere altrimenti, volendo conservare le sue caratteristiche di specchio della cultura tedesca e delle culture nordiche nel corso dei decenni, di unico punto di riferimento per gli studiosi di tali discipline provenienti dalla maggior parte delle sedi universitarie italiane. Ma l’apporto delle donazioni rap­presenta talvolta una vera e propria sorpresa, poiché va a colmare in maniera organica le lacune in sezioni meno rappresentate o permette l’acquisizione di opere non più reperibili sul mercato, fornendo volta per volta alla biblio­teca, come accadde fin dall’inizio con l’arrivo del prezio­so fondo appartenuto a Max Koch, un’eredità storica che altrimenti sarebbe impossibile o estremamente difficolto­so acquisire.

Dal punto di vista dell’organizzazione interna, la biblioteca deve aver subito nel corso dei decenni numerose trasformazioni, come testimonia bene l’uso, ancora visibile nei documenti più antichi, di collocazioni fisse nei primi anni della sua storia. La disposizione dei volumi nella maggior parte delle stanze dell’edificio e la colloca­zione con riferimento alla sala e allo scaffale – tipologia ancora in uso in alcune biblioteche moderne di modeste dimensioni – si addiceva a un patrimonio limitato, ma certamente già nel secondo dopoguerra non era più adat­ta a una biblioteca che continuava a crescere.

Verso la fine degli anni Settanta, sotto la guida di Paolo Chiarini — direttore dell’Istituto a partire dal 1968 —, fu infine presa in uso la grande sala di lettura con scaffale aperto che molti fra gli utenti più affezio­nati ancora ricordano come un locale freddo e inospi­tale durante la stagione invernale, ma dimora di gran parte dei volumi di letteratura tedesca posseduti dall’Istituto. La sala era affiancata da una serie di magaz­zini inaccessibili al pubblico, dedicati alle riviste, alla letteratura critica, alla filosofia e alla storia, e solo più tardi, nel corso dei profondi restauri subiti dall’edificio fra il 1998 e il 2001, è stata riportata alla sua originaria funzione di sala convegni e la biblioteca ha assunto una posizione ottimale e probabilmente definitiva, a un tempo isolata e centrale, occupando una intera ala della palazzina. Grazie al restauro di un sotterraneo in disuso da decenni, ora climatizzato, isolato e adibito a magazzino libri principale, esiste oggi un vero e pro­prio caveau per i fondi antichi e moderni, collegato da un montacarichi alla sovrastante sala di lettura che affaccia sulle delizie di uno dei più bei parchi di Roma, a stretto contatto con la sala consultazione e cataloghi e l’adiacente magazzino delle riviste.

Nella sua dimensione attuale di patrimonio moderno con una tradizione antica, la biblioteca dell’Istituto Italiano di Studi Germanici continua dunque a vivere come fa da tre quarti di secolo, continua a custodire sui suoi scaf­fali una tradizione in parte ereditata, in parte lentamente acquisita, coniugando ormai la sua complessa storia con la modernità delle tecnologie.

Bruno Berni

(La biblioteca dell’Istituto, in: Carla Benocci, Villa Sciarra-Wurts sul Gianicolo, Artemide, Roma 2007, pp. 197-200)

Ultimo aggiornamento 24 Giugno 2021 a cura di IISG