Studi Germanici – I quaderni dell’AIG, 3 (2020)

Quaderni dell’AIG – 3 (2020)
27 Aprile 2021
Bando 10/2021: avviso di selezione pubblica per titoli e colloquio per il conferimento di n. 1 (uno) assegno post dottorale per attività di ricerca – Progetto “Proiezioni dal Nord: l’immagine della Scandinavia in Italia”
30 Aprile 2021
Quaderni dell’AIG – 3 (2020)

Il non detto / Das Ungesagte
a cura di / hrsg. v. Lorella Bosco – Marella Magris
pubblicato il 27.04.2021


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Sommario

Saggi

  • Il non detto. Introduzione, pp. 7-17
    Lorella Bosco, Marella Magris

    • Il presente contributo è un’introduzione al tema multiforme del non detto nella linguistica e letteratura tedesche. Intende fornire un quadro teorico e storico ai saggi raccolti in questo terzo numero de «I quaderni dell’AIG», ponendo le basi per comprendere il tema di ricerca in tutte le sue ampie implicazioni ed evidenziando i principali risultati dei casi di studio presentati nel volume.
  • Eine ewig offene, schwelende Wunde. Lenz und das Ungesagte in Albert Ostermaiers Roman Lenz im Libanon (2015), 1pp. 9-31
    Cristina Fossaluzza

    • Sowohl zu Lebzeiten als auch im Laufe der späteren Jahrhunderte stellt der Sturm-und-Drang Autor Jakob Michael Reinhold Lenz eine Grenz- und Randfigur der deutschen Literatur dar. In seiner Büchner-Preis-Rede aus dem Jahr 1985 bezeichnet ihn Heiner Müller sehr prägnant als den «erloschene[n] Blitz aus Livland», als eine fulminante doch vergessene Figur der deutschen Geschichte. Indessen taucht diese Figur im 20. und 21. Jahrhundert immer wieder auf: Besonders in Auseinandersetzung mit historischen Zäsuren und Umbruchszeiten rekurriert die Literatur immer wieder auf Lenz sowie auf dessen Werke, um unausgesprochene Traumata sichtbar und laut werden zu lassen. Davon ausgehend, möchte der Beitrag in einem ersten Teil die Dialektik von Schweigen und Erinnerung in der Geschichte von Lenz’ Rezeption anhand von zwei Momenten umreißen: 1. Lenz als Verkörperung der Dissonanz der Moderne, 2. Lenz als politische Lernfigur. Beide Momente fließen, wie im zweiten Teil des Beitrags exemplarisch dargelegt werden soll, in den Gegenwartsroman Lenz in Libanon von Albert Ostermaier (2015) ein, in dem nicht nur eine starke Kritik an Krieg und Globalisierung geübt wird, sondern auch auf den literarischen Diskurs um Lenz zurückgegriffen wird. Somit wird in diesem Roman eine «Poetik der Sichtbarkeit» erprobt, die Unausgesprochenes und Unbewältigtes zur Sprache kommen lassen möchte.
  • Sulle tracce di forme e contenuti dell’assenza nell’opera di Hölderlin, pp. 33-52
    Niketa Stefa

    • Oggetto del presente studio è l’analisi linguistica e poetologica dell’assenza sia a livello contenutistico sia a livello espressivo nel rispetto dello sviluppo delle varie fasi di produzione dell’opera di Hölderlin. L’analisi passa dal rapporto armonico tra presenza e assenza del nominato nella produzione francofortese alla doppia negazione della realtà sia nella sua processualità sia nella sua esistenza oggettiva alla fine del periodo di Homburg. Dopo il 1800 il contenuto dell’assenza diventa sempre più astratto e dis-individualizzato, mentre l’espressione dell’assenza dimostra una progressiva rinuncia alla referenza diretta attraverso una frammentazione ritmica, sintattica, semantica e segnica del testo, la quale coinvolge l’interpretazione nello stesso processo creativo. Per chiarire meglio tale espressione dell’assenza viene analizzato l’inno Alla fonte del Danubio (Am Quell der Donau). Le ultime poesie di Tubinga invece sono caratterizzate dall’assenza del designato, dalla materia poetica fuggente al di là delle vicende temporali e della situazione fisica, e nello stesso tempo dalla pienezza ritmica, metrica e grammaticale come forma di un’armonia universale perenne.
  • Sulle pagine in francese e in portoghese dei diari di August von Platen, pp. 53-65
    Maurizio Basili

    • August von Platen utilizza esclusivamente il francese e il portoghese nei suoi diari quando parla dei suoi amori omosessuali, del desiderio di amare altri uomini e di essere da loro amato. In particolar modo, sono numerose le pagine – scritte intorno al 1820 – dedicate allo studente Eduard Schmidtlein («il suo aspetto esteriore è troppo attraente. È bello come Apollo e vigoroso come Ercole»); questi, però, si mostra spaventato dall’amore del poeta e lontano dal contraccambiarlo, in una Germania – quella del primo Ottocento – in cui l’omosessualità, come si può facilmente immaginare, era osteggiata, a differenza di quanto accadeva in Italia, paese nel quale – non a caso – oltre ad August von Platen concluse i suoi giorni anche «il primo coming out della storia», Karl Heinrich Ulrichs. Con questa proposta si vuole indagare principalmente la scelta di August von Platen di scrivere in francese e in portoghese le pagine dedicate ai suoi sentimenti verso altri uomini, scelta interpretabile senza dubbio come una forma di autocensura, di «non detto» e da «non dire» nella propria lingua, una sorta di volontà di nascondere informazioni, di velarle anche a se stesso (considerando che il diario è il genere letterario forse più intimo e personale), per senso di colpa e per vergogna.
  • La maschera come immagine del non detto: Il velo di Pierrette e La Signorina Else di Arthur Schnitzler, pp. 67-77
    Elisabetta Vinci

    • Il contributo mira a indagare la dimensione del non detto nell’opera di Arthur Schnitzler con particolare riferimento alla pantomima Il velo di Pierrette e alla novella Signorina Else. Le due opere sono accomunate dal ricorso alle maschere della Commedia dell’Arte, in voga al tempo, come strategia di compensazione delle insufficienze della parola. La sfiducia nei confronti del linguaggio verbale è una delle principali caratteristiche della Vienna di fine secolo, espressione della crisi esistenziale ed epistemologica del tempo, ma anche di una ricerca di modalità espressive alternative in grado di dare accesso a nuove forme di significazione mediante la commistione di diversi linguaggi artistici. Attraverso tale ricerca si tenta di accedere all’orizzonte dell’indicibile, facendo trapelare il non detto dalle pieghe dei segni. In tal senso, con il ricorso alle maschere della Commedia, Schnitzler opera sul duplice crinale del velare e svelare le dinamiche interpersonali dei personaggi per smascherare l’ipocrisia dei rapporti nella società viennese del tempo. Il velo di Pierrette è una pantomima in cui le maschere di Pierrot, Pierrette e Arlecchino simboleggiano alcuni tipi della società viennese, posti alla berlina. In Signorina Else, invece, le maschere non sono citate in maniera esplicita, ma appaiono come riferimento criptico dietro l’esecuzione del Carnaval di Schumann, secondo una strategia che, in maniera allusiva, svela il reale gioco di ruoli tra Else e Dorsday. In entrambe le opere possiamo rintracciare nell’uso della maschera il tentativo di superare il limite della parola, creando una sorta di sistema segnico intermediale in grado di fare affiorare, da latenze e ambiguità, il non detto che si cela nelle pieghe delle interazioni umane e nella mente dei personaggi.
  • Strategie della reticenza in Stefan George, pp. 79-89
    Maurizio Pirro

    • Se l’indicibile è una dimensione costitutiva del Simbolismo tedesco, e costituisce la base sulla quale si impianta tutto il fermento poetologico del ‘fine secolo’, per la poesia di Stefan George e per l’estetica del cenacolo riunito intorno alla sua figura il ‘non detto’ rappresenta una cifra fondamentale del discorso lirico. La politica culturale del Kreis si fonda su meccanismi di legittimazione reciproca fra gli iniziati, i quali si sentono vincolati sia al riconoscimento della primazia del maestro, sia al mantenimento di una impenetrabile riservatezza circa i contenuti del suo magistero. Questa segretezza corrisponde evidentemente a una strategia di esclusione destinata a consolidare la capacità carismatica del leader e a renderne suggestivamente visibile la superiorità spirituale, adombrando l’esistenza di un’alternativa (il geheimes Deutschland) a quanto ai georgeani appare come la degenerazione del tempo presente. D’altra parte, il ‘non detto’, oltre che strutturare un sistema di condotte materiali, viene incorporato nelle strutture profonde della poesia di George. Il carattere antiermeneutico di questa poesia, la cui assolutezza mira a invalidare ogni tentativo di interpretazione, si regge appunto sull’evocazione di un nucleo segreto e non comunicabile, al quale è possibile accedere soltanto grazie all’intimità con il maestro e alla conoscenza diretta del suo insegnamento. Sul ‘non detto’ si incentrano la sostanza parareligiosa della poetica di George e l’accreditamento di un rituale simbolico inteso a conferire evidenza materiale a tale sostanza.
  • Lücken und Fremdheit bei Franz Kafka und Yoko Tawada, pp. 91-103
    Eriberto Russo

    • In diesem Beitrag soll die Thematik der Lücke und der semantischen Unbestimmtheit bei Franz Kafka und Yoko Tawada untersucht werden, wobei diese Frage auch in den dialogischen und intertextuellen Rahmen der Beziehungen zwischen Migrantenliteratur und deutschsprachiger literarischer Tradition einbezogen wird. Ausgehend von der Annahme eines textuellen und ästhetischen Dialogs zwischen den Werken beider Autoren, die sich unter identitätskonzeptuellen Gesichtspunkten zwischen interkulturellen Räumen bewegen, soll eine Morphologie der Darstellungsweise der inhaltlichen, chronotopischen und sprachlichen Lücken bezeichnet werden. Das Hauptaugenmerk liegt auf Auszügen aus Franz Kafkas privaten Tagebuchschriften und Yoko Tawadas metaliterarischen und sprachkristischen Aufsätzen (Talisman, Überseezungen, Sprachpolizei und Spielpolyglotte, akzentfrei): Sowohl Kafkas Tagebücher als auch Tawadas Schriften stellen ausdrucksstarke Werkstätte kreativer Arbeit dar und gelten auch als Unterstützung für eine Reflexion über ihre Beziehung zur Sprache und zu den Ausdrucksmöglichkeiten der Wirklichkeit. Die zwei Autoren greifen auf die rhetorischen Werkzeuge der Entfremdung und der expressiven Unbestimmtheit zurück und nutzen das sprachliche Grenzpotential der Lücken und damit der Dimension des Ungesagten, um mit der Fremdheit, aus der sie schreiben, in Dialog zu treten. Die Resultate, die sich aus der Analyse der Einzelfälle von Kafka und Tawada ergeben, werden beifolgend in den Mittelpunkt einer vergleichenden abschließenden Reflexion gestellt.
  • Das Nicht-Gesagte: Sprachliche Strukturen und pragmatische Zielsetzungen am Beispiel der Schlagzeilen in der deutschen Finanzpresse, pp. 105-125
    Claudio Di Meola, Daniela Puato

    • Der Beitrag untersucht das Nicht-Gesagte in Texten der deutschen Finanzpresse auf der Grundlage eines Korpus von über 500 Schlagzeilen in Börsenmagazinen, wobei informationsbetonte, meinungsbetonte und instruierend-anweisende Texte berücksichtigt werden. Es wird untersucht, inwiefern die Schlagzeilen in ihrer (Un)Vollständigkeit als Vorschau auf die jeweilige Textsorte die Gesamterwartungen des Lesers erfüllen und wie verschiedene sprachliche Strukturen bestimmte Detailinformationen dem Adressaten vorenthalten können (okkasionelle Komposita, Passivkonstruktionen, Argumentreduktion, Asyndese, unmarkierter Tempusgebrauch). Je nach journalistischer Textsorte dienen diese Auslassungen unterschiedlichen kommunikativen Funktionen, die primär sprecherorientiert sind (Selbstschutz, Leseanreiz), teilweise aber auch im beiderseitigen Interesse liegen (Sprachökonomie).
  • Was muss man wissen, um Straßenschilder zu verstehen? Pragmatische Anmerkungen zur Kommunikation in öffentlichen Räumen, pp. 127-147
    Claus Ehrhardt

    • Der Beitrag behandelt Kommunikation in öffentlichen Räumen. Er untersucht Schilder u.ä. als Kommunikationsformen, bei denen einerseits von Seiten der Textproduzenten großer Wert auf die Verständlichkeit und Akzeptanz gelegt wird. Andererseits ist der Raum für die Präsentation der Inhalte und die Zeit, die die Adressaten ihrer Rezeption widmen können und wollen, stark begrenzt, Die Informationen müssen daher in extrem kondensierter Form präsentiert werden. Das ist nur möglich, wenn massiv auf verschiedene Ebenen des Nicht-Gesagten zurückgegriffen wird. Die Textproduzenten müssen das Weltwissen der Adressaten antizipieren und in die Planung der Kommunikate einbeziehen. Der Beitrag untersucht die Schnittstelle zwischen situativem, sprachlichem und kommunikativem Wissen, indem er fragt, inwieweit das Verständnis von Schildern auf der Kenntnis der verwendeten Wörter und Sätze beruht, wie viel situatives Wissen (etwa über normale Abläufe von Handlungen) eine Rolle spielen und welche Formen des institutionalisierten kommunikativen Wissens in die Analyse einbezogen werden müssen. Hier wird vor allem auf generalisierte konversationelle Implikaturen verwiesen.
  • Implicatura e presupposizioni nella pubblicità: quanto sono accessibili?, pp. 149-162
    Federica Ricci Garotti

    • La ricerca sul testo pubblicitario è unanime nel considerare l’implicito una parte fondante della comunicazione persuasiva, poiché tutto ciò che viene messo sullo sfondo così viene protetto da critiche e contestazioni (Givòn 1989). Il processo cognitivo, attraverso il quale i riceventi inferiscono o possono inferire l’implicito non è però scevro da problemi, dal momento che il non detto può essere riconoscibile solo in comunicazioni dialogiche cooperative. Se il principio di cooperazione è sempre valido anche nella comunicazione persuasiva bisogna presupporre che ciò che il parlante intende sia sempre accessibile ai riceventi. Se questi ultimi invece non riconoscono il non detto, può l’implicito valere come tale in ogni caso? Nel saggio si presenta l’analisi di alcuni testi verbali, estrapolati da un corpus di 60 pubblicità tedesche (spot e annunci), riguardante implicatura e presupposizione. L’obiettivo dell’indagine è osservare se nei testi analizzati siano presenti indizi che supportino l’inferenza degli impliciti da parte dei riceventi, per garantire il principio di cooperazione anche in un ambito comunicativo così flessibile e solitamente poco incline alle norme cooperative come quello della pubblicità.
  • Vom Sprechen und Schweigen. Zur Darstellung lebensweltlicher Brüche und Verlusterfahrungen in den narrativen Interviews des Israelkorpus, pp. 163-184
    Barbara Häußinger

    • Der Beitrag untersucht die Dialektik von Schweigen und Sprechen anhand eines beispielhaft ausgewählten narrativ-autobiographischen Interviews aus dem sog. Israelkorpus und geht dabei der Frage nach, wie Erfahrungen von Verlust und Trauma in der Erzählung der Lebensgeschichte einer jüdischen Emigrantin nach Palästina dargestellt werden. Die Analyse diverser Interviewausschnitte, die sich methodisch auf das Instrumentarium der linguistischen Gesprächsanalyse und der Erzählanalyse stützt, deckt die ambivalente Erzählhaltung der Sprecherin auf: Dem Bedürfnis über das eigene Leben zu berichten, steht die Notwendigkeit entgegen, bestimmte Lebensphasen, die unmittelbar mit der individuellen Leidensgeschichte verquickt sind, auszuklammern, also mit Schweigen zu belegen, was sich mittels entsubjektivierter sprachlicher Darstellungsformen äußert. Solch «beredtes Schweigen» wird als Hinweis auf eine nicht vollzogene narrative Bewältigungsleistung interpretiert.
  • Ungesagtes in autobiographischen mündlichen Erzählungen: Der prosodische Ausdruck von Emotionen in Bezug auf Orte im Interview mit Moshe Cederbaum, pp. 185-200  (DEUTSCH)
    Valentina Schettino

    • In diesem Aufsatz wird dem unverbalisierten Ausdruck von Emotionen in mündlichen autobiographischen Erzählungen nachgegangen. Man hat die prosodischen Merkmale untersucht, die die emotionale Ebene widerspiegeln können. Die Analyse wird auf der Grundlage des sogenannten Israelkorpus durchgeführt, das aus autobiographischen Interviews mit jüdischen EmigrantInnen in Israel besteht, die vor dem zweiten Weltkrieg aus deutschsprachigen Ländern Mitteleuropas wegen der nationalsozialistischen Verfolgungen nach Palästina auswandern mussten: Folglich sind diese Erzählungen eng mit der emotionalen Dimension verbunden. Im Besonderen wird man sich auf die Analyse der Orte aus einer prosodischen Perspektive konzentrieren: Diese Arbeit stellt sich tatsächlich in einem breiteren Projekt auf, in dem Orte nicht nur als geographische Bestimmungen, sondern vielmehr in ihrer Funktion innerhalb der narrativen Erinnerungsarbeit betrachtet werden. Die Annahme dieser Untersuchung ist, dass diese Erinnerungsarbeit eng mit der emotionalen Dimension verschränkt ist.
  • Schweigen in Videokonferenzen: Vom Umgang mit Störungen in Online-Besprechungen, pp. 201-218
    Sabine Hoffmann

    • Der Beitrag beschäftigt sich mit dem Schweigen im videobasierten Diskurs, worunter Pausen und Verzögerungen zu verstehen sind. Die Datengrundlage der Studie liefern internationale Videokonferenzen, in denen sechs erfahrene DaF-Lehrkräfte und sechs PraktikantInnen aus drei Ländern (Italien, Niederlande, Ungarn) sowie eine Moderatorin mit der Unterstützung einer Projektmitarbeiterin über eigene Unterrichtsmitschnitte diskutieren. Diese Besprechungen waren Teil einer Lehrendenbildungsmaßnahme, wie sie im Erasmus+-Projekts LEELU (www.leelu.eu) konzipiert und durchgeführt wurde. Der Fokus der vorliegenden Untersuchung liegt darauf, anhand eines multimodalen Verfahrens zu sehen, wie die oben genannten Schweigemomente die videobasierte Interaktion mitkonstituieren, und sich im Zusammenspiel mit anderen Modalitäten (Gestik, Mimik, Blick, Körperpositionierung) der Diskurs aufbaut. Die Ergebnisse sollen einen Beitrag zum Verständnis videobasierter Kommunikation im Deutschen leisten und zu dessen bewussteren Nutzung anregen.

Abstracts

Hanno collaborato

Ultimo aggiornamento 22 Aprile 2022 a cura di Luisa Giannandrea